A Saint-Julien uno château di grande bellezza, bei sassi e mappazzone bordolese
Bello è bello, forse non da blockbuster, ma da farci un film, di sicuro. Poco medioevale e molto neoclassico, la grande bellezza di questo castello, frutto della matita dell’architetto Abadie, colui che per altro disegnò la basilica del Sacro Cuore di Monmartre, mostra uno sfarzo temperato da un’eleganza senza eccessi. Anche i vini che qui si producono sono così: ricchi di sapore ma mai troppo, dotati di una classe davvero molto naturale.
Il merito della qualità dei vini di questo château va in gran parte attribuita ancora alla bellezza. Parlo di una più piccola, ma non meno importante, come quella dei sassi, in francese caillou, della stessa taglia di quelli che si potrebbero trovare sul letto di un fiume abbandonato. Nei circa 75 ettari dell’azienda ce ne sono tanti, a dispetto invece delle altre proprietarie di Saint-Julien, in cui sono praticamente assenti. Se i ‘bei sassi’ sono utili a definire sia lo stile dei vini sia parte del nome di questa cantina, sono gli uomini che hanno realmente contribuito a far diventare quest’azienda come un punto di riferimento per i vini di Saint-Julien.
Tra i primi i Ducru, ancora presenti nel nome di questo château, per arrivare ai Borie, attuali proprietari. Nel mezzo tanti, visto che lo château ha visto l’alternanza di molti padroni di casa, essendo una delle più antiche realtà di Saint-Julien. Alcuni di essi acquistarono questa proprietà addirittura a qualsiasi costo. La signora Dassier, prima moglie di Nathaniel Johnston, ci spese addirittura un capitale: un milione di franchi. Quanto farebbe ai giorni nostri? Non so bravo a fare i conti, ma vi faccio un paragone. Solo 50 anni prima di questa compravendita la Francia dovette pagare un’indennità ai propri nemici, a seguito della fine del periodo napoleonico, di ben 700 milioni di franchi. Dal valore economico a quello umano, visto che il marito di madame Dassier fu: sindaco di Saint-Julien, negociant, membro del comitato responsabile della classificazione del 1855, proprietario di diversi châteaux, ma soprattutto portatore di un’innovazione di cui beneficeranno molti produttori di Bordeaux.
Fu proprio grazie al contributo di Nathaniel Johnston che vide la luce la Bouillie Bordelaise, rimedio alle infezioni fungine come peronospora e oidio. Un mistura tanto fantasiosa nella composizione, quanto efficace nella pratica. La ricetta di questa sorta di mappazzone bordolese? 8 kg di solfato di rame, 15 kg di lime (in alcuni documenti si parla di latte di lime, ma più probabilmente si tratta di succo) e acqua per diluire il tutto. La ricetta specifica un principio del tipo ‘freschezza mezza bellezza’, nel senso che il rimedio è più efficace se preparato e utilizzato fresco. Il valore di questa cantina di Saint-Julien e dei vini che qui si producono non è mai sfiorita neppure in un breve periodo di défaillance, dovuto a una contaminazione di alcuni locali di produzione, che pregiudicò alcune grandi annate: ’88, ’89, ’90. Oggi Ducru Beaucaillou non solo si merita a pieno la qualifica di secondo cru, come da classificazione del 1855, ma vola ai piani alti della sua categoria.
Secondo Cru (1855)
75 ha
Vitigni presenti: Cabernet Sauvignon in prevalenza
Produce solo vino rosso
Secondo vino: Le Croix de Beaucaillou, l’etichetta è disegnata da Jade Jagger, figlia del cantante dei Rolling Stones –ancora sassi?- a partire dall’annata 2010. Questo vino non viene fatto con piante più giovani, come spesso accadde ai secondi vini, ma con grappoli che non finiscono nella composizione del primo vino.
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